Unico custode di Palazzo Salastra, il maggiordomo Astianatte veglia sulle antiche vestigia con diligenza e fedeltà. Cura soprattutto Ulli, la bellissima ballerina meccanica custodita in soffitta e finisce per innamorarsene… La storia ironica e delicata di una dolce follia d’amore, un romanzo che racconta l’Italia e le sue trasformazioni sull’eco di un sogno, fino all’originale e divertentissima conclusione.
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Degli oltre mille manoscritti (tutti rigorosamente anonimi) ammessi nell'anno 2013 dalla redazione del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol al Torneo Ioscrittore, dieci (tra i quali "Venere in soffitta") ottengono la palma della vittoria, ma le regole del concorso impediscono di stilare una classifica dei vincitori, elemento che distingue quel Premio Letterario dal Gran Premio Agnano di Trotto. Di ciò Giovanni Zanzani è grato agli organizzatori.
Cosa vuole comunicare la zia Geltrude morta da tanti anni, apparendo in sogno al suo amato nipote? Per lui l’interrogativo si trasforma in una ricerca appassionata che lo porta a scoprire nella vita di quella bonaria dispensatrice di biscotti un amore inconfessabile. Una notte di pesca e qualche ricordo giovanile sono gli elementi dai quali muove la vicenda le cui tracce si perdono in mezzo alle tragedie della seconda guerra mondiale. La narrazione conduce il lettore sui resti di quello che fu un lager italiano della Dalmazia dove le truppe di occupazione si resero responsabili di angherie e di crimini per niente diversi da quelli attribuiti agli alleati germanici, ma la vicenda avrà il suo epilogo in tempi assai più recenti. Sarà proprio ai giorni nostri che la soluzione del mistero verrà alla luce insieme al vecchio branzino del porto, ricordando a tutti che gli schemi ingannano, che il bene e il male non stanno sempre dove ci si aspetta di trovarli, che in definitiva non è così facile far emergere la verità.
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"Una decina di anni fa, navigando a vela lungo l’arcipelago croato, sbarcai sull'isola di Molat. Comandava l'imbarcazione mio fratello Luciano, esperto velista e skipper di valore al quale devo la conoscenza di quelle coste. Una visita all'interno dell’isola mi fece scoprire una specie di garitta sulla quale spiccava una lapide in lingua croata per me indecifrabile se non nelle parole che facevano riferimento al fascismo e all’Italia, parole che mi fecero capire di trovarmi di fronte a ciò che restava di un'installazione militare risalente alla seconda guerra mondiale. Solo con l'aiuto di amici croati che mi narrarono la storia del luogo appresi che esso era stato sede di un campo di prigionia italiano dove erano morte molte persone. Quella scoperta sta all'origine del romanzo "La zia Geltrude e il branzino". Come ogni opera di fantasia il romanzo è abitato da personaggi immaginari, ma la realtà storica nella quale è ambientata la vicenda è drammaticamente vera. A questo proposito segnalo il libro "Italiani senza onore" di Costantino Di Sante che traccia una cronistoria molto documentata degli stermini compiuti dagli occupanti italiani in territorio croato. L'occultamento di quei delitti perpetrato dalle nostre autorità politiche e militari per molti anni dopo la guerra, come ogni azione che miri a nascondere la verità, fu un errore imperdonabile che offende il comune senso di giustizia e che fa torto ad entrambi i nostri Paesi." (gz)
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Sul sito www.ilbranzino.it sono presenti scritti e rassegna stampa sul romanzo.
La bandiera gialla e nera a scacchi (Lima nel codice internazionale nautico, che indica la nave in quarantena), accompagnò la pubblicazione di questi racconti durante il lockdown causato dal Corona Virus nei primi mesi del 2020. Quando l'orrido vessillo venne ammainato all'inizio di maggio e riposto in un gavone (sperando che ci restasse) anche i racconti della bandiera gialla e nera cessarono di uscire.
Una ventina d'anni fa (il terzo millennio era appena iniziato e noi europei si cincischiava aspettando di capire che piega avrebbe preso) mi trovai a visitare una regione himalayana posta tra l'India e la Cina. Benché essa rappresentasse una piccola parte della vasta area montagnosa che spinge le proprie vette oltre gli ottomila metri, quella zona mi parve sconfinata tanto era selvaggia e triste. Mi trovavo solo ed era inverno, la stagione migliore per chi voglia osservare le scintillanti cime che durante la stagione estiva sono quasi sempre invisibili a causa delle nubi monsoniche. Me ne andavo a zonzo a bassa quota tra foreste e risaie quando incontrai un gruppo di antropologi in partenza per una valle a oltre cinquemila metri di quota. La troupe, un gruppo di giovani studiosi di molte nazionalità, era diretta a indagare sull'avvistamento nientemeno che di uno yeti. Facemmo amicizia ed essi mi offrirono un passaggio sul loro elicottero.
No, non è il manichino di un negozio di caccia e pesca quello che compare sulla copertina de "Il romanzo del signor Arturo", né l'icona pubblicitaria di un dopobarba degli anni quaranta. La fissità dello sguardo e la bocca da tinca presa all'amo sono i fotogrammi che riprendono il signor Arturo di fronte a una delle innumerevoli sorprese che la vita gli presenta. Arturo Diaz l'ha capito da un pezzo, nonostante faccia di tutto per eludere i suoi inganni, quella bastarda riesce sempre a spiazzarlo. Ciò che leggerete qui è una versione aggiornata di "Come fu che il signor Arturo perse una scarpa", opera prima di Giovanni Zanzani che vide la luce su "Incubatoio 16", preistorica rivista del web letterario italiano (si parla di un'epoca vicina alla Prima Repubblica), per trasmigrare sul portale www.sburover.it dove ora si trova.
Estate 1939. Alla fonda davanti a Lipari c'è una bellissima barca a vela, il Rampante, yawl lungo una quindicina di metri. Per chi non lo sapesse lo yawl è un veliero dotato di due alberi, uno grande davanti e uno piccolo dietro, a poppavia dell'asse del timone. Ma ci sono cose più importanti da conoscere su questa imbarcazione, importanti riguardo alla storia che la riguarda. Il Rampante ha cambiato nome e proprietario da poco, se prima era del barone siciliano Cosimo Nasca e si chiamava Delfino, ora appartiene a un armatore settentrionale del quale si conoscono a malapena le generalità, Arsenio Treré, e il gusto delle sfide che gli ha fatto scegliere per il proprio panfilo un nome così battagliero. Annibale Balsimelli, che pilota lo yawl, Arsenio Treré non l'ha mai visto ed ora, in compagnia di Turi, marinaio alle sue dipendenze, lo aspetta di fronte a Lipari per condurlo in crociera. Nell'attesa che il nuovo proprietario prenda possesso della barca, il comandante si interroga sul viaggio che sta per iniziare, perchè l'armatore sconosciuto e le circostanze non chiare del cambio di proprietà gli fanno temere che la vacanza non sarà delle più tranquille. I lettori non tarderanno a scoprire quanto sia giusta questa sua intuizione.
1937. Al comando dello yawl Delfino, Annibale Balsimelli ha portato il barone Nasca in Costa Azzurra dove il nobiluomo palermitano è abituato a trascorrere l'intera estate. Ora il comandante nato a Bellaria approfitterà della lunga sosta per starsene in compagnia di Isoline, giovane camiciaia marsigliese che egli ama. Ma le cose non saranno facili come sembra, nella vicina Spagna è in corso una sanguinosa guerra civile e il gorgo calamitoso di quel conflitto trascinerà i due fidanzati in una terribile mattanza. Dunque la crociera di cui si parla non sarà un viaggio di piacere.
Il palazzo dove si ritirò l'imperatore Diocleziano a Spalato è una delle vestigia romane meglio conservate dell'intero Mediterraneo, costituendo le sue antiche mura il centro vivo della città. Ma il motivo che ha spinto il barone Nasca a scegliere la costa illirica come meta della sua vacanza estiva è stata l'illustrazione di una rivista dove il lungomare spalatino appariva pieno di luci e di belle ragazze. Così don Cosimo ha chiesto al comandante Balsimelli di dirigere la prua del Delfino sulla Dalmazia. È il 1938 e nere nubi cominciano a coprire i cieli europei, le famigerate leggi razziali fanno la loro comparsa negli ordinamenti dello Stato Italiano. Anche l'equipaggio del Delfino incappa in un problema, un drammatico imprevisto che arresta la vacanza del barone su una minuscola isola. Per il comandante Balsimelli ci saranno difficoltà da superare e avversari da fronteggiare in un dramma che si farà assai cupo, ma al pilota romagnolo toccherà anche una romantica avventura.
C'è una clandestina sulla nave che nel 1934 trasporta acqua dolce sull'isola di Lipari ed è stato proprio il comandante Annibale Balsimelli a farla salire a bordo in barba ai regolamenti e ai codici di navigazione. Si tratta della giovane pittrice Greta Bogliasco che intende fuggire dall'Italia dove il regime fascista perseguita la sua famiglia. Il comandante bellariese si prenderà cura di lei per condurla fino alle coste dell'Africa e tutto ciò che riceverà in cambio sarà un piccolo ritratto. Le avventure del comandante Balsimelli firmate da Giovanni Zanzani sul portale Sburover, dove sono leggibili e scaricabili gratuitamente, sono quattro, una quinta è pronta per la pubblicazione e una sesta è in fase di scrittura.